Mi guardo allo specchio e mi vedo. Dal modo in cui mi risponde colui che è rappresentato nel lustro del vetro saprò di essere io, o mi indovinerò, meravigliato da ciò che sapevo di essere. Quell’immagine sarà un riflesso soltanto di ciò che il mio volto esterna e non il corpo copiato senza il resto. Tra me e la mia immagine ci sarà la pelle del materiale nel quale mi rispecchierò iò farà tremare lo specchio -che sia acqua, plastica o lamiera – oppure, lo farà diventare immobile, lasciando impressa la sua biografia sul mio volto in trasparenza, nell’opacità della sabbia o del vapore. Graffierà la mia rappresentazione, la colpirà o la macchierà, apparirò in modo poco chiaro o innaturale se mi guarderò nell’occhio dell’amico.
Quello sarà un autoritratto.
(testo scritto in seguito all’autoritratto comparso sul vetro della porta della metropolitana nella fermata Giulio Agricolo – Roma, 27 maggio 2003)
I miei denti, la sola parte in vista delle mie ossa.
Li vedo ogni giorno epenso alla mia morte, la quale si annuncia attraverso di essi, delle testimonianze più durature del corpo.
E se i denti ricordano la morte, la mescolerò ogni giorno con il cibo (preso per la vita), sorridererò addirittura, mostrado alla gente, come anche loro fanno, la gentilezza disegnata insieme alla fine. Che sia il mio sorriso un segno dell’Apocalisse?
Conclusioni:
– quando due persone si sorridono a vicenda, mostrano l’un l’altro la propria morte.